Le MUNA, sono il trio indie-pop più queer della musica, il loro terzo album, “MUNA”, è una celebrazione dell’amore e dell’essere queer in tutte le sue forme. Ironico, tagliente, vero, vi farà anche scatenare in pista per celebrare la vostra identità.
Katie Gavin (cantante/produttrice), Naomi McPherson (produttrice/chitarrista/synths/voce), e Josette Maskin (chitarra/voce), sono le MUNA, che hanno appena pubblicato il loro terzo album omomino per la Saddest Factory, l’etichetta di Phoebe Bridgers. La loro precedente label le ha scaricate in pieno lockdown e questo le ha portate a mettersi in discussione creando “MUNA” un inno alla gioia di essere queer, l’album che loro stesse avrebbero voluto ascoltare da giovani per sentirsi meno sole, sapendo che lì fuori c’è una comunità pronta ad accoglierti, anche se vivi nel posto più sperduto al mondo.
MUNA è un album vivace ma anche intimo, che si spoglia di quell’alone dark che ha contraddistinto i primi due album (“About You” 2017 e “Saved the World” 2019), ma con un messaggio ancora più forte e diretto, perché dopo due anni di clausura forzata abbiamo tutti voglia di tornare a cantare, sudare e ballare ricordando al mondo chi siamo! Le abbiamo incontarte via Zoom:
Ciao Muna, come state, dove siete?
Naomi: Bene, siamo a Los Angeles, anche se ti stiamo rispondendo ognuna da una stanza diferente! (Ridacchia…) Ognuna ha la sua routine mettutina, viviamo nell’east side di L.A. e si preannuncia una giornata rovente!
Come vi siete approcciate al nuovo album?
Naomi: Onestamente lavoriamo sulla musica sempre, come abbiamo del tempo libero ci mettiamo a suonare a prescindere dall’uscita di un album o altro, è come una necessità.
Per questo nel nuovo album ci sono canzoni che abbiamo cominciato a scrivere subito dopo il nostro secondo album, quindi nel 2019, e altre che abbiamo scritto due settimane prima di chiudere il disco, ma diciamo che abbiamo sempre materiale da cui attingere. Non credo che ci siamo avvicinate al disco in modo diverso, volevamo essere sicure di avere delle canzoni buone, le più buone possibili, cercando poi di farle funzionare come un unico corpo di lavoro.
Molto spesso il disco prende forma dopo che abbiamo un quantitativo di canzoni di cui siamo completamente soddisfatte tra cui scegliere, e così cominciamo a scrivere i testi per dare il senso che vogliamo al disco.
Siete state scaricate dalla vostra etichetta (La RCA ndg) durante la pandemia, è una cosa terribile… anche se ora avete firmato per la Saddest Factory, etichetta fondata da Phoebe Bridgers. Mi raccontate com è andata?
Naomi: E’ stato terribile, anche se ora non portiamo rancore, le persone con cui abbiamo lavorato sono fantastiche, è successo all’inizio della pandemia, non potevamo andare in tour e tanto meno potevamo pensare di metterci a fare un nuovo album.
Jo: Credo che per la label sia stata solo una decisione finanziaria, ma siamo ok, lo capiamo, avevamo anche dei dubbi su ciò che l’etichetta si aspettava da noi e dalla nostra nuova musica.
Essendo in tre e avendo materiale a disposizione, come gestite la scaletta del disco, ascoltandolo mi sembra una sorta di viaggio emozionale, era il vostro intento?
Katie: Abbiamo sempre idee diverse per quanto riguarda la tracklist, facciamo liste diverse e sì, per quanto mi riguarda all’inizio volevo dare al disco un senso narrativo per raccontare una storia, ma in realtà alcune delle canzoni che avevamo scelto erano contraddittorie per seguire una linearità. Alla fine abbiamo scelto le canzoni per far vivere un’esperienza a chi le ascolta, tramite mood e sonorità differenti.
Naomi: Abbiamo scelto le canzoni che ci facevano sentire meglio ascoltandole.
Avete esplorato di più il lato della produzione in questo album, siete d’accordo?
Katie: Assolutamente! Fare musica in questo periodo senza tour e chiusi in casa ci ha dato più confidenza, alla fine abbiamo capito che solo noi potevamo chiudere questo lavoro e nessun altro. Così abbiamo deciso di lavorare al disco sotto ogni aspetto, ci siamo messe ad imparare nuove tecniche per poterlo fare. Durante il processo di questo disco mi sono sentita molto più confidente come produttrice e anche come musicista.
Considerate “Muna” un album estivo? Ti fa venir voglia di cantare, urlare, pensare e di tornare a ballare! La prima canzone che mi viene in mente è “What I Want” un pezzo che mi trasmette euforia.
Naomi: Grazie, quella è una canzone davvero speciale per noi, è il nostro nuovo singolo. Ricordo che Katie ha lavorato alla produzione via Zoom con Lealand, che è un nostro caro amico e ricordo che quando è arrivato il pezzo finito, ervamo in macchina e abbiamo tutte urlato: “Questa sarà una hit!”.
Ci siamo divertite molto a scrivere “What I Want” e speriamo che tutti la ballino quest’estate perché sono felici di essere gay, e hanno voglia di fare festa!
A proposito della comunità LGBTQ+, so che il primo singolo estratto dal disco “Pink Chiffon” che vede la partecipazione di Phoebe Bridgers è diventato un gay indie-op anthem, divenuto virale su TikTok, me ne parlate? Anche il video ispirato al film degli anni ’90 “But I’m a Cheerleader” è divertente.
Katie: Sai quando sei un artista queer, guardi il lavoro dei tuoi predecessori e cerchi di trovare la strada per essere te stesso, ci piace prendere cose degli anni passati e dargli un contesto diverso, il film “But I’m a Cheerleader” è una commedia che comprene anche la comunità lgbtq+ fu una scelta tagliente all’epoca.
E’ stato molto divertente per noi girare il video con un gruppo di persone queer a L.A. è importante divertirsi sul set. Spesso scriviamo musica dark, dunque è stato stimolante esplorare qualcosa di più luminoso e colorato. Questa canzone ha un potere saffico. Per quanto riguarda TikTok non ce lo aspettavamo per niente! Siamo contente che una canzone gioiosa che parla della felicità di essere queer sia diventata così popolare.
In questi giorni si parla molto degli artisti forzati dalle loro etichette a fare TikTok, cosa ne pensate?
Katie: Che fortunatamente non dobbiamo preoccuparci troppo di questo aspetto! So che molte persone sono attratte da chi sarà la “next big thing” che farà far soldi a chi lavora nella musica, ma è diventato qualcosa di malleabile che cambia di anno in anno, oggi è TikTok, che per altro amo, mi piace guardare i video e credo che le canzoni che diventano virali su TikTok siano valide. Chi ottiene successo tramite questa piattaforma di base se lo merita, ma credo anche che quello che sta dietro a questo medium non sia così divertente come per chi lo usa. Va visto solo per farsi una risata e finisce lì. Non va preso troppo sul serio.
Penso che i vostri testi siano sinceri, diretti e coraggiosi, e che possono aiutare i ragazzi che si sentono soli e che hanno problemi ad accettarsi o a fare coming out. Avete mai pensato alle vostre canzoni in questo modo?
Katie: È il nostro traguardo.
Naomi: È facile per noi avere una certa prospettiva su una canzone perché siamo un trio quindi, quando Katie ci manda una canzone, io e Jo cerchiamo di analizzare come ci fa sentire, come se fosse un test preliminare sul pubblico che l’ascolterà.
Sarebbe stato incredibile vedere uno dei nostri video su MTV quando ero una ragazzina, o ascoltarla alla radio, e vedere persone queer come me, felici e con una vita normale.
La cover del disco ha un’ispirazione molto anni ’90. cosa vi ha portato in questa direzione stilistica?
Katie: Grazie per questa domanda, ci tengo, Siamo della 90’s babies, siamo nate in quegli anni, quindi abbiamo messo un po’ di nostalgia retrò nella cover, omaggiando anche quegli album che ci piacevano da ragazzine come tutto il filone indie di donne portato avanti da Lilith Fair.
Trovo i film, la muisca, l’immaginario di quegli anni molto accattivante. Amiamo fare moodboard, quando dobbiamo scattare la cover parliamo molto con il fotografo, in questo caso Isaac che è un nostro caro amico, e cominciamo a scambiarci foto che ci piacciono, finche non troviamo il modo giusto per rappresentare le canzoni che abitano il disco.
Credo che le nuove canzoni abitino in un mondo pop anni ’90 quindi tutto tornava, non sto dicendo che considero questo album un disco anni ’90, anzi ci sono molte canzoni moderne, ma se ci pensi gli anni ’90 sono stata l’ultima decade analogica, si scattava in pellicola e non c’erano gli smartphone.
Muna “MUNA” (Saddest Factory)
Mi dite qualche altro nome di artiste anni ’90 di cui siete fan?
Katie: Ce ne sono molte! Tracy Chapman, Alanis Morisette, Sinead O’Connor, The Cranberries, Sade.
E dove lasci la trilogia Pj Harvey, Tori Amos e Bjork?
Katie: Amiamo Bjork! Io sono una fan del periodo “Vespertine” ma la amo fottutamente e Robyn! La amiamo! Così come amiamo le grandi hit di quegli anni, come quelle dei Backstreet Boys che Jo andrà a vedere questa sera dal vivo. Siamo amanti della musica alla fine e amiamo tanti generi diversi.
Quando tornerete in tour in Europa?
Katie: Spero presto! Nel 2017 la nostra ultima data del tour fu a Milano, è stato magico, abbiamo allungato il nostro viaggio in Italia ed è stato un viaggio bellissimo.
Prima di salutarci, l’ultimo album di cui vi siete innamorate:
“Absolutely” di Djion e “Crash” di Charli XCX